Si può lavorare nelle DBN come “lavoratori autonomi occasionali”?

Alcuni colleghi, terminata la propria formazione, si chiedono se sia possibile rinviare l’apertura della partita IVA e iniziare a operare come “lavoratori autonomi occasionali”: vediamo di che cosa si tratta e se è effettivamente consigliabile seguire questa via.

Lavoro autonomo e lavoro autonomo occasionale

Il lavoro autonomo può essere ricondotto al “Contratto d’Opera” disciplinato dall’art. 2222 del C.C., che afferma: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo (…)”. Quindi si potrà avere un contratto di lavoro autonomo (o contratto d’opera) in caso di:

  1. Una prestazione lavorativa (la realizzazione di un opera o l’erogazione di un servizio) prevalentemente personale;
  2. L’assenza di un vincolo di subordinazione nei confronti del committente (altrimenti si tratterebbe di lavoro subordinato);
  3. La corresponsione di un corrispettivo (non è, quindi, “lavoro autonomo” l’attività di volontariato non retribuito).

Il contratto di lavoro autonomo si differenzia sia dal contratto di appalto sia dal contratto di vendita, ma non è il caso, in questa sede, di entrare nel merito di queste distinzioni.

Se l’attività è svolta occasionalmente, i redditi derivanti sono classificati come “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l del TUIR (il TUIR è il DPR n. 917 del 1986). La base imponibile è calcolata detraendo dai compensi ricavati da tutti i committenti occasionali le spese specificamente inerenti alla loro produzione (art. 71, c. 2 del TUIR). Tali redditi andranno indicati nel Mod. 730 (nel quadro D) o nel Mod. UNICO – Persone Fisiche – (nel quadro RL) e si calcolerà il conguaglio da versare o il credito verso l’Erario. Il lavoratore occasionale rilascerà una ricevuta “semplice” (non fiscale) ad ogni committente all’atto dell’incasso del compenso pattuito, non applicherà l’IVA, ma apporrà una marca da bollo di 2 euro se gli importi percepiti superano i 77.47 euro, e indicherà la ritenuta d’acconto del 20% solo se il committente è un Sostituto d’Imposta ai sensi del DPR n. 600 del 1973 (in tal caso sarà il committente stesso a versare la ritenuta entro il sedicesimo giorno del mese successivo al pagamento della prestazione).

La legge n. 326 del 2003, all’art. 44, c. 2, dispone l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS, a decorrere dal 01 gennaio 2004, anche di questi lavoratori occasionali, se i redditi percepiti superano i 5000 euro nell’anno solare (stiamo parlando di 5000 euro lordi, dedotte solo eventuali spese poste a carico dei committenti e risultanti dalle fatture).

Ora occorre, quindi, capire che cosa si intenda per “occasionalità”, perché questa dispensa dall’obbligo di aprire la partita IVA. E’ chiaro che è occasionale un’attività del tutto sporadica, non abituale o periodica e deve mancare inoltre il “coordinamento” della prestazione: la presenza del “coordinamento” fa ricadere la tipologia lavorativa, come già detto, nel lavoro subordinato, mentre il ripetersi di prestazioni autonome abituali fa rientrare la fattispecie nel lavoro autonomo con partita iva.

In realtà esisteva una normativa specifica che poteva esserci di aiuto: di “lavoro autonomo occasionale” parlava, infatti, la legge n. 30 del 2003, poi divenuta “Legge Biagi” (D.lgs. n. 276 del 2003), a sua volta modificata dall’art. 24 del D.L. n. 201 del 2011 (“Legge Fornero”, che citava il “lavoro accessorio” inteso come “collaborazioni occasionali” di natura, però, sia subordinata sia autonoma, con limiti di reddito per anno solare ben precisi e elencava anche i soggetti che potevano essere inquadrati in tal modo), successivamente modificata dal D.lgs. n. 81  del 2015 (in attuazione del “Jobs Act”, che elevava il limite di reddito massimo annuale per lavoratore a 7000 euro netti). La normativa è stata nuovamente modificata dal D.lgs. n. 185 del 24/09/2016, che si riferisce sempre al lavoro “accessorio” (come tale pagato attraverso i famosi “Buoni Lavoro” o “Voucher”, che comprendono la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL), dunque il lavoro autonomo occasionale torna ad essere individuabile sulla base della sola natura dell’attività svolta (a meno che non si rientri nelle specifiche categorie di lavoratori indicate nelle norme sopra riportate): se l’attività è del tutto sporadica, potremo parlare di lavoro autonomo occasionale, altrimenti no.

Quindi l’operatore in DBN che esercita la propria attività, o lo fa gratuitamente o professionalmente e in tale secondo caso dovrà aprire la partita IVA. Probabilmente potrebbe essere considerato lavoratore autonomo occasionale, nel nostro settore, solo lo studente che percepisca un compenso per l’attività svolta a fini di “tirocinio”.

N.B.: Le considerazioni sopra riportate sono, ovviamente, personali: le norme possono essere interpretate anche in modo diverso dal mio, quindi invito i colleghi a seguire le indicazioni del proprio commercialista. Parallelamente consiglio, però, coloro che intendono lavorare come “liberi professionisti ai sensi della legge n. 4/2013” di farlo con partita IVA.

Per info: Pietro Malnati, tel. (0039) 338 98 70 347; email: pietro.malnati@gmail.com; https://studio-malnati.com/

 

 

Autore: studiomalnati

Counseling e Coaching, con Specializzazione in Discipline Orientali, Olistiche, Bio Naturali e Naturopatiche (Libere Professioni ai sensi della Legge n. 4/2013), nonché Massoterapia e Idroterapia - MCB (Arti Sanitarie Ausiliarie ai sensi della Legge n. 1264/1927) - P.IVA: 03395340122.

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