Abbiamo già parlato di alcune Leggi Regionali e delle Province Autonome sulle Discipline Bio Naturali e, in generale, della normativa applicabile a quel settore. In particolare abbiamo, brevemente, esaminato:
- La Legge Regionale Lombarda n. 2/2005 (“Norme in materia di discipline bio naturali”) e la Legge Regionale Toscana n. 2/2005 (“Discipline del benessere e bio-naturali”): si veda, in questo sito, il nostro scritto “Discipline Bio Naturali e Leggi Regionali: Il caso della Regione Lombardia”;
- La Legge Regionale Umbra n. 19/2014 (“Disposizioni in materia di valorizzazione e promozione delle discipline bionaturali”): si veda “Discipline Bio Naturali: la Regione Umbria approva una legge specifica. Qualche confronto con la legge della Regione Lombardia n. 2/2005”;
- La Legge della Provincia Autonoma di Trento del 2013 (“Norme in materia di discipline bionaturali”): si veda “Discipline Bio Naturali: la Legge della Provincia Autonoma di Trento del 16 aprile 2013”.
Si tratta, come già detto, di Leggi finalizzate alla “sola” valorizzazione dell’attività degli operatori (in discipline bio-naturali) e alla qualificazione dell’offerta delle prestazioni e dei servizi che ne derivano, attività che hanno come obiettivo il mantenimento (alcune norme regionali aggiungono pure il “recupero”) del benessere della persona. Ricordiamo che stiamo parlando di “professioni libere”, che chiunque può esercitare, non essendo oggetto di regolamentazione statale. Proprio per questo, le norme citate ribadiscono che tali attività ‘non hanno carattere di prestazione sanitaria’: in materia sanitaria, infatti, delibera lo Stato con proprie leggi! Aggiungono, pure, che l’iscrizione nei registri (a volte chiamati “elenchi”) degli operatori in DBN non costituisce comunque condizione necessaria per l’esercizio dell’attività: si veda, come esempio, l’art. 2 della citata Legge Lombarda. L’istituzione di registri/elenchi di operatori (ma anche di enti di formazione in DBN) ha, quindi, solo lo scopo di informare il potenziale utente che chi vi compare ha una formazione di un certo tipo (cioè ha seguito un certo numero di ore di lezioni frontali, un certo numero di ore di tirocinio, etc.) e possiede specifiche competenze, oppure risponde a determinati requisiti (se ente di formazione). E gli operatori che non possono dimostrare di avere seguito un tale iter didattico? Potranno continuare a lavorare tranquillamente e, se lo vorranno, fare ugualmente domanda di inserimento nei registri/elenchi, se formatisi prima dell’approvazione delle leggi citate (e/o dei regolamenti attuativi delle stesse e dei conseguenti “profili e piani dell’offerta formativa” riferibili alle specifiche DBN da loro esercitate: dovrebbero, comunque, possedere conoscenze/competenze/abilità in linea con quanto stabilito dai citati “profili…”, cosa possibile solo con un monte ore di preparazione non troppo discordante da quello ivi indicato); potranno, inoltre, ricorrere alla “certificazione di competenze regionale”, attraverso “istituzioni formative accreditate (dalla Regione) al sistema di istruzione e formazione professionale”: questa possibilità è già attiva da tempo in Regione Lombardia. Si tratta di una possibilità, non di un obbligo: chiunque può, lo ribadiamo, esercitare una professione non specificamente regolamentata dallo Stato! E la legge nazionale del 14 gennaio 2013 n. 4, dal titolo “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, che cosa stabilisce? Tale legge, in attuazione del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione (che stabilisce, nell’ultima modifica, che “/…/ nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato”. Tra le materie di legislazione concorrente rientrano: “/…/ tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; /…/”), esordisce al primo comma dell’art. 1 affermando che “/…/ disciplina le professioni” (intellettuali) “non organizzate in ordini o collegi /…/”, per poi ribadire, al quarto comma che “L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica /…/”: non stupisce, perché la libertà dell’esercizio professionale è diretta conseguenza della natura di “professione non regolamentata” (o, se vogliamo, non organizzata in ordini o collegi…). Il secondo comma, sempre dell’art. 1, dichiara che la legge stessa non è applicabile alle “/…/ attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile/…/” nonché (riassumiamo) alle professioni sanitarie e a quelle artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinate da specifiche normative. L’art. 2229 del codice civile è proprio quello che sancisce che “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi /…/”. Ma in concreto che cosa impone la legge n. 4/2013? Impone, come si desume dal terzo comma dell’art. 1, che “Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 /…/” debba contraddistinguere “/…/ la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo /…/”. In pratica il professionista “non organizzato in ordini e collegi” deve indicare, accanto alla denominazione dell’attività esercitata, una dicitura tipo: “libera professione ai sensi della legge n. 4/2013”. Il consumatore sarà così edotto sul fatto che tale professione è, appunto, libera e quindi esercitabile da chiunque (si presuppone che il consumatore conosca tale legge e comprenda il significato di quanto viene a lui comunicato: nutriamo qualche dubbio in proposito…). La legge n. 4/2013 conferisce, inoltre, interessanti compiti alle Associazioni Professionali. L’art. 2, dopo aver ribadito che tali Associazioni sono fondate “su base volontaria” (non esiste, quindi, nessun obbligo né di costituirle né di aderirvi!) aggiunge che hanno “/…/ il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti /…/”. Come per le già citate Leggi Regionali, anche qui ci troviamo di fronte ad una attività che è “solo” di valorizzazione delle competenze dei professionisti e di informazione al consumatore. In particolare, l’informazione all’utente può riguardare: “la formazione permanente dei propri iscritti”, il “codice di condotta” adottato ai sensi del codice del consumo, il tipo di “vigilanza sulla condotta degli associati” e “le sanzioni disciplinari” loro applicabili. Il consumatore viene garantito e tutelato anche “dalla attivazione di uno sportello di riferimento” e dal divieto di adottare “denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi”. L’elenco delle Associazioni Professionali che rispondono ai requisiti previsti dalla legge n. 4/2013 è pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico nel proprio sito internet (in realtà, a seconda degli “elementi informativi forniti”, ai sensi dell’art. 5, gli elenchi sono due: uno riguarda le Associazioni che rilasciano l’Attestato di qualità dei servizi, un altro riguarda le Associazioni che non rilasciano tale Attestato), Ministero che informa anche sulla “/…/ avvenuta adozione, da parte dei competenti organismi, di una norma tecnica UNI relativa alle attività professionali di cui all’art. 1”. L’eventuale adozione di una norma tecnica UNI rientra nella autoregolamentazione volontaria e nella qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le professioni non organizzate in ordini e collegi, e tale autoregolamentazione è promossa dalla legge n. 4/2013 indipendentemente dall’adesione, dei professionisti, ad Associazioni Professionali (si veda l’art. 6). All’elaborazione di tali norme tecniche relative alla propria attività collaborano, comunque, le Associazioni Professionali attraverso la partecipazione ai lavori degli organi tecnici o inviando propri contributi (si legga l’art. 9). Tornando alle Associazioni Professionali, l’art. 7 della legge citata disciplina le modalità e i contenuti delle attestazioni che possono essere rilasciate ai propri iscritti. Tali attestazioni sono adottate sotto responsabilità del legale rappresentante (che rispondo anche per i contenuti presenti nel sito web associativo: in caso di false attestazioni/informazioni si avrà una violazione dell’art. 27 del Codice del Consumo) e sono finalizzate alla tutela del consumatore e alla garanzia della trasparenza del mercato dei servizi professionali. I contenuti sono così riassumibili: regolare iscrizione del professionista; requisiti richiesti per aderire all’associazione; standard qualitativi e di qualificazione professionale che gli iscritti devono rispettare nell’esercizio della loro attività; adozione o meno dello sportello di riferimento per l’utente; eventuale possesso di polizza assicurativa per responsabilità professionale; eventuale possesso di una certificazione, rilasciata da un ente accreditato, relativa alla conformità alla norma tecnica UNI. Sempre l’art. 7, al secondo comma, ribadisce che “Le attestazioni di cui al comma 1 non rappresentano requisito necessario per l’esercizio dell’attività professionale”: è evidente, trovandoci (lo sottolineiamo ancora) nell’ambito di professioni “libere”, in quanto non “organizzate in ordini e collegi”! Tornando alle norme tecniche UNI, ci viene spontanea l’osservazione che, essendo la loro pubblicazione disponibile solo a pagamento, il loro significato informativo/conoscitivo nei confronti dei consumatori è da ciò ostacolato. Inoltre dubitiamo che la maggior parte dei consumatori conosca che cosa sia una norma tecnica UNI…. Comunque la legge n. 4/2013 sottolinea, come già detto, che su tale strumento “/…/ si basa la qualificazione della prestazione professionale /…/” dei soggetti che esercitano le professioni non organizzate in ordini e collegi (art. 6, secondo comma), e su questo possiamo concordare. Se le “competenze tecnico/professionali”, le “abilità” e le “conoscenze” indicate nelle norme tecniche riguardano ambiti riservati “/…/alle professioni regolamentate, alle professioni sanitarie e a quelle artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinate da specifiche normative /…/” (art. 2229 del codice civile), non potranno, evidentemente, essere applicate alle professioni libere. Ad esempio, la norma tecnica UNI 11492 del 6 giugno 2013, relativa agli Osteopati, riguarda una professione che è, a detta del Ministero della Salute (come ribadito in risposta all’interrogazione parlamentare dell’On. Paola Binetti del 12.03.2014) “attività riservata alle professioni sanitarie e come tale può essere esercitata solo da professionisti sanitari regolarmente abilitati tramite il superamento dell’esame di Stato”. Non si è, quindi, nell’ambito delle Discipline Bio Naturali, bensì delle professioni sanitarie (almeno questo è, attualmente, desumibile dalla citata opinione del Ministero della Salute). Analogamente va detto a proposito dell’Agopuntura, della Fitoterapia e dell’Omeopatia: la “Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano” ha approvato, il 7 febbraio 2013, un accordo, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 281/1997, che all’art. 1 comma 3 afferma che “L’Agopuntura, la Fitoterapia e l’Omeopatia costituiscono atto sanitario e sono oggetto di attività riservata perché di esclusiva competenza e responsabilità professionale del medico chirurgo, dell’odontoiatra professionale, del medico veterinario e del farmacista, ciascuno per le rispettive competenze”, aggiungendo al comma 4 che “L’Agopuntura, la Fitoterapia e l’Omeopatia sono considerate come sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale avendo come scopo comune la promozione e la tutela della salute, la cura e la riabilitazione”. Da tale accordo si ricava, anche in questo caso, che l’operatore che non ha i titoli indicati non potrà definirsi “bio naturale” e operare sostenendo di promuovere unicamente il benessere e la vitalità dell’utente (salvo eventuali interventi legislativi futuri sostanzialmente diversi). Per meglio chiarire i contenuti della Legge 4/2013 riportiamo, di seguito, un collegamento al sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Dal sito del MISE: “Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi – Domande frequenti (FAQ)“. Pietro Malnati, tel. (0039) 338 98 70 347; email: pietro.malnati@gmail.com; www.studiomalnati.wordpress.com P.S.: chi ritenesse i contenuti e le osservazioni sopra riportati non precisi o corretti, è invitato a inviarmi una mail all’indirizzo “pietro.malnati@gmail.com”, precisando il motivo della contestazione e sarò pronto, se riterrò la contestazione stessa fondata, a modificare immediatamente l’articolo.